Sta facendo molto parlare, sui siti internet del mondo musicale, la notizia del rifiuto, da parte del grande pianista russo Grigory Sokolov, del Cremona Music Award 2015. In una lettera scritta in russo e in italiano, Sokolov motiva il gesto, in qualche modo clamoroso, affermando: “secondo le mie idee di elementare decenza è una vergogna comparire sulla lista dei premiati con Lebrecht”. Chi è Lebrecht?
Norman Lebrecht è un musicologo e critico inglese, famoso per il suo stile giornalistico tendente allo scandalistico e molto diretto nei giudizi. Ha lavorato per diverse testate, condotto show televisivi alla BBC, scritto numerosi libri (e persino romanzi); aggiorna regolarmente un sito internet molto frequentato dai professionisti della musica e del giornalismo per avere informazioni sugli ultimi casi e scandali: chi ha protestato chi, chi è stato fischiato dove e via dicendo. In italiano fino a qualche anno fa si poteva ancora trovare in qualche libreria o bancarella il suo Il mito del maestro (Longanesi 1992), un libro inteso a decostruire l’idea di intoccabilità e sacralità del direttore d’orchestra, nel quale si raccontavano molte cose non onorevoli degli dei del pantheon musicale classico.
Del carattere difficile di Sokolov si è spesso sentito parlare. Si sa, per esempio, che da anni non suona nei Paesi nei quali siano macchinose le procedure per ottenere il visto – prima di tutto Regno Unito e Stati Uniti. E molte altre manie – ma niente di più di quanto è concesso ad altri pianisti dello stesso livello: si tenga presente che stiamo parlando di quello che è spesso additato come il miglior pianista vivente. Messa da parte quel po’ di shadenfreude che queste cose provocano sempre nei colleghi magari meno fortunati di Lebrecht, quello che tutti si stanno chiedendo ora è: che cosa può mai aver fatto Norman Lebrecht a Grigory Sokolov per rendersi degno di tanto pubblico disprezzo?
Dare una risposta a questa domanda in realtà non è così difficile: basta collegarsi al sito del suo agente per leggere una lettera (nella traduzione del grande Bruno Monsaigeon) in cui Sokolov ricorda l’amatissima moglie, scomparsa nel 2014, e lamenta alcune “deliranti invenzioni” che personaggi capaci di “ballare sulla sua tomba” avrebbero diffuso su di lei. Norman Lebrecht nel gennaio del 2014 aveva messo on-line la notizia del lutto personale di Sokolov in un articolo di apparente condoglianza (“Sad News” riportava il titolo); ma poche righe dopo la notizia, con sprezzo del buon gusto e della privacy, commentava che la donna appena scomparsa era anche la vedova del cugino del pianista. Doveva esserne seguita una furiosa polemica, perché in ciò che è possibile oggi vedere di quell’articolo è aggiunto un aggiornamento in cui il livoroso critico ricostruisce addirittura l’intero albero genealogico di Sokolov, basandosi su informazioni fornitegli da un sito, collegandosi al quale oggi si riesce solo a leggere un ulteriore insulto a Lebrecht (“scandalista da quattro soldi”, vi è definito).
La vicenda in sé sarebbe una triste questione di scarsa etica professionale, cattivo gusto e violazione del diritto alla privacy per gli artisti – e in special modo per i loro sentimenti più profondi e personali. In realtà vale la pena di osservare questa storia per un altro motivo.
Quello che Norman Lebrecht fa da anni è esattamente ciò a cui sempre più tendono i giornali italiani di oggi quando parlano di musica classica. Il suo modo di scrivere, fatto di buona cultura (Lebrecht non è certo un cretino), informazione aggiornata, ricerca dell’effetto e gusto per lo scandalo è ciò a cui tendono le penne oggi più apprezzate dai direttori dei giornali, quelle con le quali vorrebbero rimpiazzare i noiosi e paludati critici musicali. È parte di quella trasformazione del mondo musicale classico in palcoscenico glamour tanto ricercata da discografici, agenti, organizzatori e uffici stampa nella vana speranza di ingrossare le fila del senescente pubblico classico. È un’operazione che paga (moltissimo) su pochi personaggi, da Lang Lang in giù, ma avalla un modo di rapportarsi all’arte che può avere effetti disastrosi sul resto della scena. E che esercita sugli artisti nati e cresciuti in un mondo rarefatto e spaventosamente severo com’è stato ed è tuttora quello dei Michelangeli, dei Zimerman, dei Sokolov appunto, una violenza inimmaginabile. E a mio parere mostruosamente ingiusta.