Continuare o no? Questo è stato il dubbio su cui mi sono fermato a pensare per tutto questo tempo (la pausa più lunga da quando ho cominciato Fierrabras). Le cause di questo dubbio sono da ricercare in parte in una certa stanchezza, in parte in una serie di interrogativi di carattere quasi ontologico. Che cosa è esattamente un blog, a cosa serve, a chi si rivolge? La continua osservazione dei siti e dei blog dedicati alla musica nell’intera rete ha portato con sé tutta una serie di considerazioni, che lentamente hanno cominciato a chiedere di essere fatte con la dovuta calma, per non procedere alla cieca. Le riassumo in breve:
- Il mondo dei blog e dei siti personali riconducibili al concetto di “giornalismo diffuso” comincia a essere caratterizzato da un’inquietante omogeneità. Lo stesso post, spesso legato a un articolo di un quotidiano o all’osservazione di un evento, fa il giro di tutti i siti attraverso una catena di link incrociati. Dietro questo meccanismo si nasconde il grande nemico di chi ama la comunicazione e l’informazione: l’autoreferenzialità. Che i blog comincino a fare lo stesso errore che sta conducendo il giornalismo della carta stampata all’estinzione è un fatto abbastanza sconcertante. Il meccanismo: qualcuno (talvolta più persone contemporaneamente) getta nella rete un oggetto, un’idea che ricava dal “mondo esterno”: da allora questo oggetto – un articolo, un filmato, una fotografia, un’idea– rimbalza da un sito all’altro fino ad assumere un’importanza spropositata rispetto alla sua reale consistenza. Si tratta di una dinamica che offre al marketing, per fare un esempio, delle opportunità straordinarie (c’è chi dice che Obama abbia vinto così), ma che secondo me bisogna guardare con grande sospetto.
- L’altro elemento di pericolo che questo sistema comporta è la sostituzione della realtà e della memoria storica: quello che non si trova nella rete non è importante, non è degno di essere ricordato, non fa parte della storia e della vita. Eppure la porzione di realtà presentata da internet è minima. Immensa se paragonata a una biblioteca – così come fin dall’inizio si è voluto fare – minima se paragonata alla realtà del tempo e dello spazio, e alle loro capacità di dare una gerarchia di importanza alle cose e alle idee. Avendo la testa troppo “dentro la rete”, confondere le due cose e alterare tale gerarchia, che è poi il cuore più profondo dell’esperienza umana, è facile quanto pericoloso.
- Tenere un blog richiede una continua contrattazione fra il personale e il pubblico: tenere un diario personale e pubblicarlo in tempo reale mi appare come un fatto di stranissima quanto diffusa impudicizia; d’altro canto, presentarsi semplicemente come fornitori di informazione prescindendo dal dato non secondario che non si è un’agenzia, ma un singolo soggetto che cerca di condividere ciò che (per volontà o per caso) viene a sapere, rasenterebbe l’inganno (e l’autoinganno). Tuttavia mi piace ricordare che è proprio da questa contrattazione tra personale e pubblico che nascono le cose migliori, e non solo in rete. Io metto a disposizione degli altri le mie conoscenze e le mie passioni, ma per farlo le devo rendere prima interessanti e fruibili.
Dunque da un lato esiste un problema che riguarda lo “statuto di servizio”, se lo si vuole chiamare così, dei blog: perché lo si scrive, e per chi; dall’altro c’è la continua esigenza di non rimanere imprigionati nelle maglie dell’autoreferenzialità della rete. Mi piace l’idea che se un oggetto viene introdotto nella rete, dopo avere compiuto i necessari rimbalzi possa anche uscirne: se una foto è interessante o bella, deve produrre qualcosa al di fuori della rete: un’altra foto, un’azione, o una reazione. E che non finisca tutto in una sconfinata chiacchiera elettronica.
Ma alla fine di questi ragionamenti, vale o no la pena di continuare? La risposta che mi sono dato è sì. Ne vale la pena, cercando di portare in queste pagine oggetti e idee che provengano dall’esterno (dalla vita) – letture, ascolti, idee, osservazioni – e sperando che possano produrre altra vita, e non rimanere a nuotare nella vasca di internet. Vale la pena provarrci ancora, e magari con più impegno, vigilando tuttavia affinché, se questo scopo venisse meno, si sia capaci di smettere subito, e di dedicarsi ad altro.
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La riflessione ha riguardato anche alcuni aspetti tecnici. Per avere un controllo migliore sulla piattaforma e aprirla a (eventuali) futuri sviluppi ho lasciato Typepad e sono passato a WordPress su hosting linux. Che dire: un lavoraccio.
Non capisco perché bisognerebbe “guardare con sospetto” un meccanismo di funzionamento del web: cioè l’essere replicante, il potere di moltiplicare un qualcosa fornendone una eco. Criticabile o meno che sia tale processo, la comunicazione su internet, e anche il funzionamento ad esempio di google si basa su questo: più una notizia è cliccata, più sale il rank (e dunque l’utente inesperto potrebbe pensare di conseguenza che essa sia maggiormente affidabile). Il fatto è che, certo, potrebbe anche trattarsi di una boiata pazzesca e il metodo di trasmissione resterebbe lo stesso: ma io non criticherei il modo di propagazione della notizia, quanto invece il contenuto. Se era questo che intendeva, allora mi trova d’accordo.
Non sarei così drastico nel pensare che “tutto ciò che non c’è in rete sembra non esistere o non contare”, mentre sono scettico nel ritenere che “la porzione di realtà presentata da internet è minima”: perché la porzione di realtà presentata (o rappresentata) è, in effetti, sempre più grande.
Infine cade, a mio avviso, anche questa sua riflessione: “presentarsi semplicemente come fornitori di informazione prescindendo dal dato non secondario che non si è un’agenzia”. Gente che non era un’agenzia, come la Huffington alla fine lo è diventata. E anche una delle più potenti agenzie informative (anche se non la più affidabile, forse) di tutta la rete.
Tuttavia, sebbene io trovi spesso spunti originali, anche lei oggi è caduto in quello che deplora, vale a dire: l’inquietante omogeneità. La notizia di Zimerman oggi l’ho letta per la terza volta sul suo blog. Intenet allora uccide l’originalità? Io continuo a pensare di no. A patto 1. di voler scrivere articoli non retribuiti (ma scrivendo per un giornale si è pagati tanto di più? / si sopravvive?), e 2. originali (putroppo quasi sempre non lo sono neanche nelle maggiori testate). I post saranno fatica, forse inutile, però tutto sommato sono letti. A volte più dei quotidiani.
Gentile Carlo, intanto la ringrazio per il suo intervento. Sulla questione di Zimerman ha perfettamente ragione; mentre scrivevo ci ho anche pensato, ma poi non ho resistito alla tentazione. E questo non perché pensassi che la notizia fosse effettivamente originale o nuova, ma soprattutto per l’ammirazione e la curiosità che provo per questo artista antipatico e straordinario. Ma il meccanismo è proprio quello di cui scrivevo, e nel quale mi ero ripromesso di non cadere più. Per quanto riguarda la riflessione che lei equilibratamente critica, credo che lei abbia perfettamente capito. Ho molta stima per le persone che stanno faticosamente costruendosi una credibilità nel mondo per molti versi libero e innovativo di internet. Quando dico che temo il fatto di non essere un’agenzia, mi riferisco alla selezione e all’attribuzione di rilevanza che si dà alle cose del mondo che si decide di riportare. Un’agenzia riceve da mille fonti, screma e crea una visione in qualche modo “gerarchica” delle notizie; un singolo con pazienza si documenta e, molto spesso con un alto tasso di casualità, riflette ciò che più l’ha colpito. Ma siccome la fonte a cui attinge (me compreso, naturalmente) è quella della rete, rimastica e ricrea in un gioco autoreferenziale di specchi. Ma la soluzione sappiamo tutti qual è, e lei me la ricorda con una certa severità: essere creativi e lavorare con serietà. Giusto, ammetto la pigrizia e cercherò di riparare. Un saluto e grazie ancora.
Gentile Sergio,
le propongo di fare un piccolo patto: farò finta per un attimo d’ignorare come vanno le cose nelle agenzie informative tradizionali e cercherò di crederle.
Le dico prima su cosa sono d’accordo: un’agenzia riceve (qualsiasi cosa, notizie e non notizie) da mille fonti. Ma anche un utente avanzato di internet è bombardato di “cose” — quasi alla stessa maniera di un’agenzia tradizionale.
Se però lei non dovesse accettare la mia iniziale proposta, potrà — forse — convenire con me su un punto: un giornale screma a seconda delle proprie convenienze (politiche, economiche, d’immagine dell’azienda), e a seconda degli “amici” o “nemici” che propongono la notizia (o molto spesso, troppo spesso, non notizia, ma fatta passare per tale). La versione che lei chiama “in qualche modo gerarchica” riflette null’altro che: in primis le amicizie, poi le relazioni politiche, e più in generale il peso che ha nel mondo quel giornale (e quale valore attribuisce alle cose, da ciò s’intuisce la fisionomia globale della testata e poi dei suoi collaboratori).
Vede, è che non credo per niente “all’alto tasso di casualità” che dovrebbe (sottolineato) fornirmi un giornale (quale che sia, quotidiano, settimanale, mensile, giornale o rivista è lo stesso).
Il problema è che molto spesso il singolo giornalista (collaboratore occasionale, strutturato o il direttore stesso in persona) si sforza (lei scrive “con pazienza si documenta”) di assomigliare il più possibile alla fisionomia di cui le dicevo prima, o d’essere almeno in linea con la corrente politica alla quale fa capo la testata.
Detto questo (e mi scuso per la prolissità), io preferisco qualcuno che scrive (magari anche notizie rimasticate) in totale autonomia — possibile e autentica se il blogger lavora gratis -, senza dover rispondere a nessuna logica aziendale, e senza l’obbligo d’essere coerente con la testata per cui scrive. Da queste persone io non mi aspetto originalità nei contenuti (una notizia nuova) perché non è quello il loro lavoro, ma un punto di vista (sulla stessa notizia che già conosco dalle fonti tradizionali) autonomo, e questo sì originale. Ciò che ormai, purtroppo, manca anche alla carta stampata tradizionale. C’è la notizia, ma scarseggia l’interpretazione, la capacità di guardare da una particolare (e unica ) angolazione che costituisce l’insostituibilità di chi ti fa vedere una cosa diversamente da come l’avresti percepita se l’avessi guardata soltanto con i tuoi occhi. Se qualcuno fa questo, a me poco importa che sia blogger o giornalista “vero” sul giornale di carta. E’ il talento — giornalistico — di vedere le cose, coglierle e poi (sottolineato) interpretarle, che m’interessa.
Grazie comunque per la sua bella risposta e per la possibilità che mi ha dato per conversare di argomenti così importanti,
cordiali saluti.