Mentre alcuni nuovi pezzi di Fierrebras non vogliono proprio scriversi da soli, ci sono mille notizie dal mondo della musica che mi piacerebbe condividere. Notizie che riflettono quanto esso sia complesso, articolato e un poco pazzo. Eccone tre di ieri.
La prima è una bella inchiesta del New Music Box, il sito internet dell’American Music Center, dedicata alla buona salute di cui godono – in un mercato discografico sconvolto dalla crisi economica e di idee – le etichette indipendenti specializzate nella produzione e distribuzione di musica contemporanea. Il loro modello di business non è certo quello delle major (i compositori o gli sponsor normalmente pagano la produzione del disco) ma il loro insostituibile compito è ricambiato da un successo che sta assumendo le dimensioni di un boom. Contro qualsiasi fosca previsione.
La seconda e la terza sono collegate. Un articolo del Times ci racconta del primo sciopero proclamato dai lavoratori del Festival di Bayreuth. Si tratta di 60 macchinisti e di un centinaio di lavoratori a contratto che contestano la legalità dei contratti firmati dall’ex direttore del Festival, Wolfgang Wagner. E così, mentre si lavora per mandare in scena l’ennesimo, sontuoso Tristan und Isolde, davanti alla consueta platea luccicante di uomini politici, magnati della finanza e alta borghesia internazionale, scopriamo che la paga oraria di un macchinista, di un elettricista o di un attrezzista impegnati sul palcoscenico è di circa 4 euro. Contemporaneamente, un articolo pubblicato sul sito di Bloomberg ci informa del fatto che Peter Gelb ha guadagnato nel 2008 circa 1,5 milioni di dollari con il suo lavoro di General Manager alla Metropolitan Opera di New York, con un incremento rispetto all’anno precedente del 36%. Che cosa c’entra? Boh, ognuno si faccia il suo parere.
Quando facevo la panettiera in nero mi sottopagavano perché il datore di lavoro era convinto della mia sostituibilità: come fai a pretendere più di 5 euro, mi diceva a quel tempo, quando sai bene che il lavoro che fai tu lo può fare chiunque altro? Sei sostituibile, e dunque ti sottopago (si direbbe che è questo ciò che si addice ai macchinisti).
E tuttavia, quando ho smesso di fare un lavoro manuale, usando soltanto il mio cervello, il mio capo mi ha detto: diamine, come puoi pretendere di esser pagata di più? Tu sei una “intellettuale”, sai quanti pagherebbero per fare un lavoro privilegiato come il tuo? Ne trovo quanti ne voglio, son qui che fanno la fila fuori dal mio studio.
Inutile dire che sia l’ennesima scusa per pagare poco.
Allora il punto è: Peter Gelb ha fatto un buon lavoro? Gelb è unico nel suo genere?
In fondo poco importa se Gelb è insostituibile oppure no.
La morale è questa: chiunque faccia un lavoro, sia esso un panettiere, un macchinista, un “intellettuale”, o un general manager bisognerebbe essere pagati il “giusto”, proporzionalmente a quanto bene so fare il mio lavoro. Qualsiasi esso sia.
Nessuno è insostituibile.
Tutto vero, ma ho l’impressione che nel mondo del lavoro da tempo siano saltate alcune dinamiche fondamentali che regolavano il rapporto tra prestazione d’opera e compenso. Erano dinamiche che nascevano da un’impostazione etica e a loro volta generavano una resistenza etica. Dinamiche messe a punto con la fatica e con il sangue, non leggi naturali. Non so se sia saltata prima l’etica e poi le dinamiche o viceversa, ma il risultato è semplicemente il diffuso senso di insoddisfazione e di insofferenza che domina il lavoro, quello intellettuale quanto gli altri. Dicono gli studiosi di alimentazione che la qualità nutrizionale di un uovo prodotto da una gallina sofferente per mancanza di spazio e di cibo adeguati sia nettamente inferiore. Mi sembra che gli alimenti che oggi il mercato offre siano il frutto di una produzione maturata in sofferenza; forse qualcuno spera che abbassando la qualità nutrizionale si finisca per consumare di più. E invece, semplicemente, il consumatore si rivolge ad altri alimenti. Il mondo è grande, e l’arte non è più un dovere. Ecco tutto.
Lei ha perfettamente ragione, si trattava di regole negoziate, non di leggi naturali. Tuttavia i giovani oggi non sembrano essere consapevoli anche soltanto della mera esistenza di quelle dinamiche, naturali o artificiali che fossero. Infatti la ragazza che mi sostituì in quel lavoro accettò la metà del mio salario: perché lavorando in nero nessuno era tenuto a pagarle il minimo sindacale.
Mi sembra comunque che coloro i quali hanno “più” lavoro intellettuale di quello che attualmente svolgo seguano anch’essi la stessa regola: svolgere il proprio compito “alla carlona”, con un risultato (quale che sia) nel minor tempo possibile.
Tanto per restare in tema, qualora non lo conoscesse, le consiglio una lettura sul tema: Barbara Ehrenreich, Una paga da fame (Feltrinelli).
Buone vacanze!
Grazie molte, leggerò (il tema mi sta a cuore). Buone vacanze anche a Lei.