Riemergendo faticosamente da un periodo di lavoro molto intenso (è un modo per giustificare il lungo silenzio di Fierrabras), trovo questo articolo di Pierre Assouline nel suo blog “La République des Livres” (sul sito di “Le Monde”), e lo segnalo per una curiosa coincidenza.
Finalmente un grande libro
Come mi capitò di scrivere in un post della fine del 2007, una delle letture musicali più appassionanti del 2008 (probabilmente il miglior testo sulla musica da molti anni a questa parte) è stato il libro dedicato al Novecento musicale da Alex Ross, il bravissimo critico del “New Yorker” il cui blog da sempre figura nella lista dei siti preferiti di Fierrabras (anche se da quando è uscito il libro si è come prosciugato: destino di tanti bellissimi blog negli ultimi tempi: prima o poi converrà parlarne).
The Rest is Noise, il libro di Ross, è una splendida sintesi delle tante e diverse linee di sviluppo del Novecento musicale; Ross è un profondo conoscitore della musica americana, eppure curiosamente si tratta di un libro profondamente europeo. Europeo perché è basato sui valori, le curiosità, il modo di ragionare e di guardare al bello e al brutto che costituisce la forza (e forse per certi aspetti anche il limite) della cultura europea. Dicono che New York sia la città più europea degli Stati Uniti, e allora bisognerebbe dire che è un libro profondamente newyorkese.
Se mi chiedessero che cosa contiene di rivoluzionario The Rest is Noise, non saprei rispondere su due piedi alla domanda. Basta sfogliarlo per capire che non si tratta di un libro che vuole cambiare le idee di alcuno: non c’è, per dire, lo spirito battagliero della History of Western Music di Taruskin (per citare un’altra opera importante degli ultimi anni). Gli equilibri, gli spazi, le parole su ogni aspetto del mondo musicale sono gli stessi che presumibilmente gli destinerebbe un buon professore di un nostro conservatorio. Strauss, Mahler, Schoenberg, Stravinsky, e via via come di consueto (come è giusto direi), il jazz, fino al minimalismo e al postminimalismo. Ognuno poi ha le sue piccole fissazioni: chi ha seguito il suo blog sa che Ross adora Sibelius, e naturalmente le venti pagine del capitolo “Apparition from the Wood” (sottotitolo quasi compassionevole “The Loneliness of Jean Sibelius”) sono un concentrato di amore e competenza; d’altro canto, per chi scrive, le quattro striminzite pagine dedicate a Bernstein sembrano piuttosto pochine; tra l’altro ben scritte, ma non certo esaurienti. Ma si sa: ognuno ha le sue passioni.
Forse dovendo spiegare perché quello di Ross è un grande libro metterei al primo posto tre elementi: il linguaggio, il taglio con cui la materia è presentata, lo spirito didattico. Ross scrive con una fermezza e un equilibrio nel giudicare, con una competenza tecnica e un rispetto per le diverse correnti estetiche che non è merce comunissima tra le storie della musica non scolastiche. Ma accanto all’aspetto tecnico, ciò che colpisce è la sua voglia di descrivere i personaggi, le atmosfere, gli incontri straordinari che chiunque decidesse di percorre le strade del Novecento musicale farebbe. Un gusto che non rifiuta l’aneddotica senza renderla bozzetto o peggio ancora pettegolezzo.
E adesso come facciamo a leggerlo?
The Rest is Noise, come tutti i migliori libri, può essere percorso in tutte le direzioni; si può leggere direttamente una pagina che interessa su un certo compositore e poi procedere a macchia d’olio (il modo che io preferisco); si può andare dalla prima all’ultima pagina, apprezzandone le intelligenti campiture; si può volare ai capitoli che interessano (“e di Britten, che dirà mai? Scommetto che ne parla benissimo!”) e via dicendo. Lo strumento fondamentale che permette questa libertà d’azione, e che è parte irrinunciabile di un’opera come questa, è naturalmente l’indice analitico. 26 fittissime pagine su due colonne nella bellissima prima edizione americana (in paperback sono aumentate); si parte da “Abbado, Claudio” e si arriva a “Zweig, Stefen”. Cosa dirà Ross di Meredith Monk? Ah, ne parla a pag. 507: andiamo a vedere.
Insomma, per non tirarla troppo in lungo: un mese fa è uscita l’attesissima edizione italiana. Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, editore Bompiani, traduzione di Andrea Silvestri. Bello che Bompiani voglia ancora investire nella musica, verrebbe da pensare. Lo sfoglio e, sorpresa, è senza indice. Fare un indice di un libro così è faticoso e costoso, ma assolutamente indispensabile. Ecco che una grande città da visitare liberamente, nella quale passeggiare o correre, lavorare o dormire, si trasforma in un’interminabile lezione accademica. In un corridoio chilometrico senza finestre. A peggiorare le cose, quasi non volessero assolutamente permettere che il lettore si orienti in autonomia, sono scomparsi dal Sommario i sottotitoli in cui i compositori o i periodi a cui sono dedicati i singoli capitoli erano nominati. Rimangono i titoli di fantasia, purtroppo mai riconducibili al contenuto del testo. Peccato. Spero davvero che vorranno rimediare nella prossima edizione.
E per chiudere il cerchio, citerò l’inizio del post di Assouline:
Non lo ripeteremo mai abbastanza: senza un indice, un libro è inutilizzabile per chi fa ricerca. Non un romanzo, ma un saggio, una tesi, un’opera di scienze umane o sociali, un diario, un epistolario. È come se non gli servisse a nulla, perché normalmente lui consulta più che leggere da capo a fondo un opera di questo tipo. Ora, senza un Indice è impossibile, salvo passarci dieci volte più tempo del necessario. Paradossalmente, nell’epoca dell’informatica e della tecnologia trionfanti, gli editori sono sempre meno inclini a offrire ai loro lettori questo servizio, che dovrebbe essere naturale e che sembra invece essere diventato un lusso, pur essendo molto più facile da realizzare che in passato. Si tratta di ridurre i costi, una volta di più. Tanto peggio per i ricercatori, i professori, gli studenti, i liceali e gli spiriti curiosi. Bisognerà forse scrivere una petizione? Un boicottaggio? È anche vero che l’editoria universitaria è talmente a mal partito che un po’ di più o un po’ di meno…
AGGIORNAMENTO DELL’8 AGOSTO 2011
È da poco uscita l’edizione economica del libro, sempre pubblicata da Bompiani (curiosamente nei Tascabili Narrativa). Sorpresa: hanno messo uno straccetto di indice. È un indice dei nomi, fatto un po’ con i piedi (sembrerebbe quasi che non si ricordino come si fa un indice, da quelle parti), però è sempre meglio che niente. Certo, nulla a che spartire con il bell’indice analitico dell’edizione americana, però un piccolo passo avanti è stato fatto. Rimane la constatazione: questo libro meritava di più.
Questa volta non ho niente da dire in merito al post (perché devo ancora leggerlo, e vedo che lei ha ripreso a scrivere alla grande, e io apprezzo il suo blog e voglio leggere con calma i suoi interventi), tuttavia, trattandosi di libri, la domanda non sembra troppo a sproposito.
Mi sono chiesto, e me lo chiedo tuttora, quale sia la ratio di Google nel digitalizzare i libri tuttora in commercio di diversi editori (anche italiani). Perché consultando “books” è chiaro che la politica di digitalizzazione sia diversa da editore a editore: la domanda è dunque allora chi decida la faccenda.
Gli editori possono bloccare la digitalizzazione da parte di Google o no? ci sono di volta in volta accordi specifici?
Se la logica che sottostà a “books” è sensata negli USA pare non esserlo in Italia, dove — strano che i diretti interessati non se ne avvedano — il modo di agire di Google danneggia in modo talmente lapalissiano gli acquisti, da finire per ledere gli interessi dell’editore (ma dell’autore soprattutto) e infine dei lettori, ai quali servita la pappetta pronta non moriranno certo dalla voglia di staccare gli occhi dal pc per andare a comprarsi un libro “vero” di carta, fuori, in libreria!
Attendo lumi, FB (Fierrabras)!
Gentile HC, grazie per le parole gentili. Per quanto riguarda la questione di Books, Google ha stretto accordi con molti editori, chiedendo quale percentuale di ogni volume essi volevano che fosse liberamente consultabile. Trovo Google Books uno strumento molto utile, e onestamente non mi è chiaro in quale maniera esso danneggi gli editori o, addirittura, i lettori. Dei libri coperti da copyright sono leggibili su schermo (ma non copiabili né stampabili) delle ristrette porzioni, generalmente non oltre il 30%. La scansione tuttavia avviene su tutto il volume, per cui l’intero libro è inserito nei motori di ricerca: se ci fa caso, molto spesso la frase si trova nel motore di ricerca, ma quando si arriva al libro la pagina non è visualizzabile. Il lettore vi troverà materiale utile alle proprie ricerche se è fortunato (se la riga che vuole vedere è fra quelle visualizzabili; per molti editori la percentuale è bassissima, per altri è zero) e se è interessato a un particolare passaggio o pagina. Ma un lettore di questo tipo difficilmente comprava l’intero libro: normalmente lo andava a consultare in una qualunque biblioteca. Il lettore interessato all’intero libro, invece, non sarà mai soddisfatto dalla parziale e scomodissima lettura.
Google ha ricevuto moltissime critiche negli Stati Uniti da parte degli autori ed editori per tutt’altra questione, effettivamente delicata. L’idea iniziale di Google era infatti quella di rendere disponibili in rete tutti i libri caduti in pubblico dominio, cosa che avrebbe dato al suo motore di ricerca un potere incredibile. E immagini cosa potrebbe succedere nel momento in cui Google decidesse di stampare ‘on demand’. In ogni modo è tutta materia magmatica e incandescente, per cui onestamente al momento non ci trovo nulla di ‘lapalissiano’.
Le polemiche da parte degli editori, invece, in Italia si sono concentrate su Google News. Ma è tutto un altro paio di maniche.
Che ne dice di questa copertina?
http://www.rhinegold.co.uk/magazines/classical_music/news/classical_music_news_story.asp?id=323
Ci ho pensato, e certo Lei ha ragione.
Ci sono (c’erano?) le buone care biblioteche che facevano un tempo la funzione che ora è svolta da Google Books.
Però mi permetta di dissentire su un paio di punti: il primo è che non avendo in mano un libro (come invece avveniva in biblioteca) difficilmente deciderò di comprarlo attraverso quel sistema [sarebbe interessante infatti capire quanto GB aiuti anche a vendere i libri direttamente], a meno che non lo usi a scopo esplorativo (non conoscevo per niente il testo, ora ne valuto così i contenuti e lo compro). Ma — inciso — io spesso compro un libro non per cosa c’è dentro, ma perché mi piace com’è fatto, che odore ha, il font, la fattura; questo GB non riesce a farmelo capire, dunque un bibliofilo non compra libri (fossero anche PB) con questo sistema.
Seconda cosa. Leggo letteratura specialistica o saggistica in qualsiasi lingua, ma dall’altro capo del mondo, nelle biblioteche del mio paese quel libro non c’è (succede con la maggior parte dei testi che mi servono per ricerche approfondite); che fare? Se c’è GB sfrutto buona parte del libro sul web e evito di comprarlo. Ci sono case editrici che rendono disponibile oltre il 70% del libro, e quindi in quel caso evitano (fare arrivare il libro dall’estero, esose spese di spedizione) l’acquisto, e mi accontento.
Nella mia esperienza la maggior parte dei libri che compro negli USA o in UK non li trovo su GB. Ma se vivessi in Canada, per esempio, finirei per DOVER comprare SOLTANTO libri Einaudi o Bollati Boringhieri, di cui on line trovo ben poco (se non niente).
Saluti!
Gentile HC, non riesco a seguire benissimo il ragionamento, ma provo a rispondere , anche se siamo completamente fuori tema. GB è una possibilità in più offerta al marketing editoriale; se l’editore si accorge che peggiora le sue vendite in libreria, è liberissimo di modificare il contratto e di inibire l’indicizzazione dei suoi libri. Per quanto riguarda il rapporto tra il bibliofilo e GB, quello che posso dire è che GB non ha come target i bibliofili; non credo che i servizi online uccideranno le librerie o la lettura; sono canali in più. Un saluto, S.B.
PS: Mi scusi per la risposta mancata sulla copertina del libro di Ross, ma è arrivata in un periodo di lavoro molto intenso.
Leggere le sue risposte è sempre interessante e costruttivo: scopro ogni volta cose che prima non sapevo (tipo la modifica del contratto). Perciò, grazie!
Eh sì, GB non è fatto per il bibliofilo, è vero.
Ma il bibliovoro (mi rendo conto che il neologismo non sia granché) vorrebbe che GB, la vertigine della conoscenza di tutti (o quasi) i libri che ci sono in giro nel mondo, gli restituisse anche il goloso frusciare, il sensuale crepitìo della pagina, e poi… basta, saremmo nel migliore dei web possibili!