Chi lo ha seguito nel corso degli ultimi due anni probabilmente si era già accorto che qualcosa stava succedendo. The Rest is Noise, il blog di Alex Ross, è una delle più importanti iniziative personali offerte dalla rete nel campo della critica musicale. Avviato se non ricordo male nel 2003, per almeno 4 anni ha rappresentato una fonte sempre interessantissima di informazioni, riflessioni e recensioni dal mondo della musica classica (ma con parecchie ‘digressioni’ in altri territori musicali e culturali). Nel frattempo il suo libro prendeva forma e così, accanto alle bellissime ‘classifiche’ dei dischi più rilevanti, accanto ai tanti approfondimenti, alle sempre un po’ malinconiche foto di paesaggio, comparivano di volta in volta bellissimi stralci storico-musicologici dedicati a Strauss, a Mahler o a Nuncarrow. Poi, mentre l’uscita del libro si avvicinava, i post hanno cominciato a rarefarsi. Era evidente che il cosiddetto ‘daytime work’, il lavoro che ci aiuta a campare, stava soffocando quello sul blog; per periodi di intere settimane sono comparse solo le recensioni e gli articoli che Ross scriveva per il “New Yorker”, ogni tanto lasciava addirittura la mano a un amico e collega, per tenere in vita il sito in sua assenza. Dopo l’uscita del libro le cose peggiorarono addirittura: il successo ha portato con sé le presentazioni, le traduzioni, le revisioni, i premi e via dicendo. Insomma, tutto lasciava presagire che Ross avrebbe mollato la rete, l’amica che l’aveva aiutato a crescere in questi anni.
La sorpresa è arrivata con un post del 14 ottobre. “The Rest is Noise” fa come l’Araba fenice, e si incenerisce per rinascere: ecco dunque Unquiet Thoughts, Pensieri inquieti – è il titolo del bellissimo primo Song del primo libro di arie e canti pubblicato da John Dowland (First Book of Songs and Ayres, 1597), in cui Dowland decide di non tacere, e anzi di “tell the passions of desire / Which turns mine eyes to flood, mine thoughts to fire”, esprimere le passioni del desiderio che tramutano gli occhi in diluvio e i pensieri in fuoco.
È un salto in avanti o un passo indietro?
Ma oltre a segnalare il nuovo e senz’altro interessante blog di Ross, vale forse la pena di notare alcune cose. “Unquiet Thoughts” è uno dei molti blog ospitati dal sito del “New Yorker”, cioè di uno dei migliori periodici letterari americani. Una colonna della cultura americana, ma una colonna fatta di carta, con tutto quello che ne consegue. Il sito del “New Yorker” riflette le difficoltà e le speranze di tutti i siti dei periodici cartacei di alto livello: non raccolgono pubblicità (o ne raccolgono poca), rappresentano un costo spesso poderoso, ma semplicemente non possono non esistere. Fino a un paio d’anni fa il sito del “TLS”, il più aristocratico tra i grandi periodici letterari, era quasi una pagina fissa; se volevi ti abbonavi (per posta) e loro oltre a mandarti il giornale imbustato nel nylon ti davano l’accesso a una cosiddetta ‘versione elettronica’, in realtà un pesante file pdf dell’impaginato prestampa; ora il sito del “TLS” è stato riassorbito nel grande calderone del sito del “Times” (nella rubrica ‘entertainment’!), arricchito e democratizzato nell’offerta gratuita (Murdoch permettendo), ma sempre con un forte riferimento alla carta stampata.
Oggi quasi tutti i periodici che investono nella rete ospitano e sostengono (spesso economicamente) una serie di blog. La cosa è abbastanza curiosa perché il blog è nato proprio per sfuggire ai vincoli più o meno pesanti che la stampa impone. Vincoli ideologici, professionali, di formato o di linguaggio; la sana limitazione dell’ego purtroppo sovente unita a un insano blocco della creatività personale. La prima reazione della stampa periodica alla loro comparsa, molti anni fa, è stata l’ostentazione di una innaturale indifferenza: anche se da tempo i blog comparivano nelle prime righe dei motori di ricerca (normalmente sopra i periodici stessi), era rarissimo vederne uno citato (ma comunissimo vederne le idee copiate).
Poi è arrivata la fase due. Gli editori di periodici cominciano a capire che senza sito non esistono, il terreno della carta stampata dà importanti segni di cedimento, e si affannano a cercare idee. Ed ecco che l’idea del blog si fa viva: dare alle proprie firme migliori uno spazio quotidiano, per cercare di assumere un po’ di quella freschezza che il riversamento del cartaceo su web non riesce proprio a dare. Ed ecco che nasce questo strano ibrido, che potrebbe ricordare il filosofo da salotto settecentesco, o l’abate scroccone. Una persona pagata per dire la sua ogni giorno su una qualsiasi cosa gli passi per la testa, e ammessa al tavolo dell’impegnatissimo e regolatissimo padrone di casa; un modo per dimostrarsi leggero e alla moda senza smettere di pensare ai propri grattacapi. D’altro canto per l’affannato abatino/blogger l’invito può sembrare (o essere) una liberazione; chiunque si sia cimentato in questa strana attività sa che fatica sia tenere un blog, che mole di lavoro (normalmente notturno) comporti, quali tour-de-force tecnologici richieda. Per chi? Per cosa? Ogni autore ha un suo personale, spesso recondito motivo; ma sono pochissimi quelli che fra questi motivi ne metterebbero uno economico. Sarebbe più folle che utopico.
Ecco dunque che un po’ di perplessità mi prende sempre quando vedo uno di questi strani personaggi cha lascia la propria casa, per quanto traballante, per trasferirsi nel residence di un periodico. Mi rendo conto che nel farlo possa esserci una bellissima scommessa: quella di collaborare al rinnovamento del linguaggio critico e della comunicazione culturale dall’interno, e non da corsari. E che spesso possa anche essere un modo per manifestare attaccamento a una testata preziosa in difficoltà. E forse per questo il fenomeno dei ‘blogger stanchi’, che abbandonano, rallentano fin quasi a fermarsi o scelgono il rassicurante cappello di una testata giornalistica on-line è sempre più frequente. Forse la forma espressiva del blog è stata una fuga in avanti di alcuni in risposta alla lentezza di reazione della stampa periodica e d’opinione, e la sua forza d’inerzia tende a esaurirsi contemporaneamente al faticoso ma inevitabile riorganizzarsi della stampa periodica stessa. Oppure, semplicemente, l’isola che non c’è si sta trasformando in una destinazione turistica – d’altro canto molti dei blog di maggiore successo hanno fatto da soli un altro scatto in avanti e si sono trasformati in testate internet vere e proprie (uno per tutti, l’ormai celebre Huffington Post).
Vedremo quale tendenza si consoliderà. Ma in ogni caso, ad Alex Ross molti in bocca al lupo, oggi come e più di ieri.
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