Da alcune settimane, l’esclusivo parterre dei critici musicali italiani si è arricchito di un nuovo arrivo. Lo spazio è quello della pagina dedicata alla musica dall’inserto domenicale del “Sole 24ore”, che già ospita gli storici articoli di un colto e monumentale reazionario come Quirino Principe e le dotte lezioni-recensioni di Carla Moreni (sulle quali Fierrabras aveva già espresso qualche riserva alcuni anni fa). La firma fa pensare alle scorrerie dei pirati o, in alternativa, ai calendari da cucina e agli oroscopi: Barbanera, niente di meno.
Questa firma che si suppone corsara è comparsa la prima volta il 3 luglio scorso sotto una piuttosto sgangherata stroncatura di un doppio cd contenente gli Studi brillanti op. 740 di Czerny e gli Studi trascendentali di Liszt eseguiti da Fred Oldenburg: il commento era da antologia della “non critica” italiana: “Il confronto con Liszt è perdente in partenza sotto tutti i punti di vista e poi nessun allievo potrebbe aspirare di arrivare [sic!] a un livello esecutivo simile (per gli studi di Czerny). Come dare un automobile a pedali a un pilota di formula uno”. Come se si trattasse di una gara fra Czerny e Liszt; non una parola su chi suona e come lo fa.
La domenica successiva però Barbanera torna all’arrembaggio, e anche questa volta lo fa scegliendo un tema non esattamente di ‘avanguardia’. L’articolo è un pavido rimbrotto al fantasma di Herbert von Karajan, in occasione del riversamento in cd dei Concerti Brandeburghesi da lui incisi con i Berliner 47 anni fa (!); se il soggetto è già quasi archeologia, l’argomentazione dell’articolo non potrebbe essere più muffosa, e raggiunge il suo apice di apnea intellettuale quando, in riferimento alla grande corrente di riscoperta della ‘musica antica’, scrive: “Doveroso precisare che, a nostro parere, dopo anni di ricerca e affinamento, si è arrivati a un ottimo compromesso che consente di apprezzare della musica piacevole e ben scritta, come in fondo è la musica barocca.” Musica piacevole e ben scritta: ma dove, mi chiedo, nell’intero mondo della stampa quotidiana, si potrebbero leggere parole come queste, se non in un giornale locale della provincia più profonda, che magari affida una rubrica di musica al parroco che un po’ di musica l’ha masticata in seminario, o al professore di pianoforte del locale conservatorio?
Terza puntata, il 17 luglio, e terzo brivido: una specie di stroncatura di un’incisione di tre concerti per pianoforte di Mozart eseguiti al fortepiano da Ronald Brautigam, con la Kölner Akademie. Qui le argomentazioni non sono più solo muffose, sono decrepite e squinternate. L’interrogativo che Barbanera si pone è: è giusto eseguire Mozart sul fortepiano? Ora, si può anche fare finta di non sapere che si tratta di un problema che si è suicidato per noia trent’anni fa, dopo che era stato sviscerato per almeno un secolo (le prime riflessioni sul tema risalgono alla metà dell’Ottocento), e che era stato nel frattempo reso totalmente inutile da un semplice dato di fatto: ci sono straordinari pianisti, splendidi strumenti, incisioni magnifiche e di tutto questo si è accorto un pubblico che, con buona pace di Barbanera, queste cose le vuole ascoltare. Ma Barbanera, che forse è veramente quel parroco di cui si diceva, li ammonisce che i loro piaceri non sono veri piaceri, e che ben altro godimento potrebbero provare se accettassero il definitivo avvento del pianoforte. E per farlo, non si perita di mettere in mezzo il povero Mozart, che come Mosè, non ha potuto conoscere la vera fede per ragioni anagrafiche, e dunque non è proprio colpevole, anzi noi soli lo possiamo salvare, leggendo le sue meravigliose parole alla luce di ciò che è venuto dopo: il Nuovo Testamento della musica, parrebbe.
Scrive infatti Barbanera: “In quest’occasione vogliamo solo ricordare come molte delle sue composizioni per tastiera non furono scritte per il pianoforte, ma per il cembalo e il fortepiano, attraversando la sua breve vita il periodo di transizione del nuovo e più espressivo strumento, peraltro ancora in evoluzione”. Cioè, secondo Barbanera l’intero stile classico sarebbe da inquadrare in un periodo di transizione. Ma ecco che dopo questa dotta riflessione, il nostro curato cala il suo asso: “la domanda cruciale: ha un senso utilizzare strumenti arcaici rispetto al pianoforte per eseguire la sua musica?”. Strumenti arcaici? Parliamo di meravigliosi strumenti viennesi del diciottesimo secolo, non di ossa di bisonte traforate. Ma se il lettore aveva finora resistito, ecco la mazzata finale: “In parole povere Mozart non aveva a sua disposizione strumenti che esprimessero in pieno la sua musica interiore e sicuramente si sarebbe esaltato avendo fra le mani uno Steinway o un Bösendorfer”. Segue descrizione dell’esecuzione al fortepiano come di “un adolescente ancora scoordinato o di un cerbiatto incerto sulle gambe”, paragonato alla musica di Mozart che è “un adulto nel pieno delle forze e uno splendido e possente cervo”. Ah, ecco, ci mancavano i Salmi!
Naturalmente quello che vive un periodo di transizione non è Mozart ma il Domenicale del “Sole 24 ore”, diviso tra grandi progetti abortiti e un presente ancora molto incerto. È l’inserto settimanale dedicato alla cultura dal maggiore quotidiano finanziario italiano, di proprietà della più grande associazione industriale del paese. Il termine di paragone più illustre e diretto potrebbe essere l’inserto “Life&Arts” del week-end del Financial Times, il quotidiano finanziario della city londinese. Le differenze raccontano molto di noi e di loro: lì la musica, i libri, l’arte, il teatro e il cinema sono compresi in un inserto orientato al piacere e al relax, che include articoli sul viaggio, bellissime interviste a personalità della cultura, della scienza o, perché no, della politica di alto profilo; c’è la riflessione, il commento, naturalmente talvolta il lusso. È il week-end della city, appunto. Si guarda avanti, ci si riposa, si leggono e si ascoltano se possibile buone cose.
Da noi il week-end si chiama Domenica, e già par d’udire un pio rintocco di campane. In prima pagina, ogni benedetta settimana, campeggia la riflessione di un cardinale. La visione culturale della city italiana si divide poi fra regolamenti di conti fra critici letterari egolatri, recensioni di libri cadenzate dal calendario novità dei grandi gruppi editoriali, paginate e paginate di dotte riflessioni teologiche, bacchettate ex cathedra su questo o quello spettacolo a scelta del critico di turno. L’aggiunta, nel 2011, di una rubrica che sembra estratta pari pari da un giornale della metà del secolo scorso non dovrebbe dunque stupire nessuno.
Stupisce invece constatare che il giornale della finanza italiana pensi ancora la cultura come patrimonio esclusivo dei professori di liceo classico, delle accademie di belle arti, preti e precettori. Un’enclave ottocentesca con pochissime vie di comunicazione col mondo delle idee, dell’innovazione, della politica di alto livello, con i grandi problemi della vita di oggi, i grandi temi dell’arte, della musica, del teatro. Insieme all’inserto culturale, la domenica, il Sole offre un altro inserto, intitolato “nòva24” dedicato alla ricerca tecnologica e all’innovazione. Domenica scorsa c’era una bellissima doppia pagina dedicata alle frontiere della ricerca sull’AIDS e alla situazione del contagio sul pianeta, seguita da un’intevista a Zygmunt Bauman; leggerla dopo Barbanera comunicava la strana sensazione di due mondi separati che marciano a velocità diverse, divisi da compartimenti stagni. Peccato, perché forse le nostre domeniche avrebbero un grande bisogno di aprire una finestra sul mondo e di ricevere una spinta verso l’innovazione, e a loro volta potrebbero offrire ai giorni feriali che seguono alcuni nutrimenti intellettuali e umani veramente essenziali. Amen.
Grazie Sergio. Fortunatamente ho perso tutto questo, perche’ non stavo in Italia. Da quando hanno smesso di far scrivere Q.P. — e soprattutto di recensire libri di musica, cosa sempre piu’ rara — ho smesso di comprare il Domenicale. Che cricche. Prima un nuovo formato e un vecchio nome del giornalismo, poi si torna al vecchio formato, poi una combriccola di qui, etc…
Grazie a lei della risposta. Però guardi che Principe non ha mai smesso di scrivere sul Domenicale del Sole. Ma, dico la verità, scrive sempre peggio, sempre più chiuso nei suoi vezzi e nei suoi tic. Una settimana fa ha scritto una recensione al bel libro di Misha Aster sulla Filarmonica di Berlino nel III Reich (pubblicato da Zecchini) che era quasi un insulto al lettore e al buon senso. A volte sembra che dica: il mondo è talmente cretino che io posso scrivere quello che voglio, tanto nessuno se ne accorge, nessuno reagisce. Mi fa pensare a quei bambini che fanno capricci sempre più forti per vedere fin dove si possono spingere prima che la mamma li sgridi. Quando si diventa così sprezzanti nei confronti dell’etica della comunicazione, mi chiedo perché non si lasci il posto a chi ancora ci crede, magari sbagliando perché davvero è un mondo orribile, ma ancora ci crede lo stesso. Di ostinati ottimisti ce ne sono ancora, magari perché son giovani, magari perché son stupidi, o magari perché non godono dei privilegi delle grandi glorie del passato, e se scrivessero come Principe sarebbero cacciati dalla sera alla mattina.