Ma osserviamo adesso più da vicino il dagherrotipo di questa ragazza immobile. Perché prima ho detto che si tratta di un’immagine “inquietante”? E ancora: perché la sua mano sinistra – a differenza del resto del suo corpo impassibile e impavido – trema?
Trema per l’enormità di quanto stava rivelando di sé al mondo.
Sì, perché questa immagine nasconde (o, al contrario, rivela come più non si potrebbe) una verità esplosiva che nessuno, per più di un secolo e mezzo, ha voluto cogliere, anche se ci viene così palesemente e insurrezionalmente sbattuta in faccia.
Proviamo a guardarla davvero, per la prima volta senza paraocchi e senza diaframmi, questa immagine. Che cosa – con la sua immobilità rotta appena dal tremito della mano sinistra – ci sta rivelando questa ragazza intenta a far arrivare fino a noi il suo composto grido?
Un altro bellissimo scritto di Antonio Moresco, con una tesi sensazionale su Emily Dickinson. Non so quale fondamento abbia, ma è veramente suggestiva – ed è scritta, manco a dirlo, splendidamente. Ancora una volta l’intero pezzo si può leggere sul sito di Il primo amore.
Antonio Moresco è uno degli scrittori più interessanti del panorama italiano degli ultimi decenni. La sua non è una scrittura per amanti delle belle lettere, della frase flautata, della trama suadente. È letteratura come schiaffo che risveglia e disturba, che fissa gli occhi dove spesso evitiamo di guardare; non, o almeno non solo nel senso della denuncia, ma della rimozione inconscia. Quel tipo di letteratura che non si legge per sognare ma che della visionarietà fa un mezzo per risvegliare l’attenzione sul nostro modo di essere al mondo.
Ovvio che non si tratti di una letteratura dalla vita editoriale facile, e per chi volesse farsene un’idea il suo recente Lettere a nessuno, pubblicato da Einaudi nel 2008, può essere una lettura illuminante – a tratti esilarante, più spesso drammatica e sconfortante. Ma il suo libro maggiore, fortissimo e per certi versi sconvolgente, è Canti del caos (parte I, II e III), pubblicato da Mondadori l’anno successivo.
È in questo quadro che vorrei segnalare un bellissimo racconto – o forse più esattamente pièce teatrale – intitolato Duetto, compreso nel volume Merda e luce (Effigie, 2007). Mette in scena un dialogo immaginario tra Maria Callas e la tenia, il verme solitario che, secondo una vecchia leggenda del mondo operistico, il soprano avrebbe volontariamente ingerito allo scopo di perdere peso.
Crescendo nelle sue viscere attraversate dallo sconvolgente fenomeno del canto – che proprio dalle viscere nasce per diffondersi nella siderale luce dello spettacolo e dell’arte – la tenia lentamente impara a cantare, tanto da diventare un contrappunto interno alla voce della grande artista che la ospita, e uno degli elementi che la rendono inimitabile e misteriosa per tutto il suo pubblico.
Duetto è una lettura che, lo ripeto, potrebbe anche disturbare, ma che sicuramente parla di qualcosa di molto profondo e importante per chiunque ami la musica e più in generale l’arte e la letteratura. È una lettura che porta alla mente la domanda fondamentale su dove nasce la voce di un artista. E lo fa in un modo che solo un grande scrittore potrebbe escogitare.
Il racconto può essere scaricato in formato pdf dal sito della rivista Il primo amore.
«Non ne potevo più di tutta quella massa di lardo che era cresciuta col tempo attorno alla mia voce. Che la mia voce dovesse uscire da quella botte di grasso in forma di donna. Volevo sbarazzarmi di quel fardello perché rimanesse solo la voce, la mia voce. Si sentisse e si vedesse solo quella mentre spalancavo sui palcoscenici dei più importanti teatri del mondo la mia grande ciabatta greca incendiata dal rossetto sotto gli occhi sfavillanti e bistrati, quasi fuori dalla testa nello sforzo e nell’ebbrezza del canto. Voi là al buio, nelle grandi sale di velluto e d’oro, come altre creature ammaliate e impietrite di fronte al canto inventato dell’usignolo su un ramo, negli anfratti della terra, dell’aria. Oh, io capisco, io lo so cosa prova il corpicino ricoperto di piume dell’usignolo che si espande attraverso il canto! Cosa può provare l’allodola in un campo di grano mentre lancia il suo richiamo sessuale!»